Giovanni Battista Bugatti, noto anche come Mastro Titta, deve la sua fama alle molte esecuzioni delle quali fu autore – per conto dello Stato Pontificio – non solo nella città papale ma anche nelle province, alternando questa attività a quella di venditore di ombrelli. 

La sua carriera di esecutore di sentenze capitali ebbe inizio nel marzo del 1796, all’età di 17 anni, e proseguì per oltre 68 anni, durante i quali giustiziò 514 condannati a morte. Di queste atroci sentenze il Bugatti teneva nota in un taccuino che fu poi materiale di studio per la pubblicazione di un volume che racchiudeva le sue memorie, in chiave romanzata, dal titolo “Mastro Titta, il boia di Roma: Memorie di un carnefice scritte da lui stesso”, opera di un anonimo. 

Il primo condannato al quale il Bugatti diede la morte fu Nicola Gentilucci, un giovane di Foligno che in preda alla gelosia aveva ucciso un prete e il suo cocchiere. 

 

 

“Er boja de Roma”, come era chiamato dal popolo, era odiato dai suoi concittadini e fu costretto, per tutto l’arco della sua carriera, a vivere in una sorta di domicilio forzato all’interno della cinta vaticana, sulla riva destra del Tevere con il divieto tassativo di recarsi nel centro della città. A tale obbligo poteva sottrarsi solo nel caso in cui fossero richiesti i suoi servigi sulla sponda del fiume. Questo evento ha dato vita al celebre motto “Mastro Titta passa ponte”, a significare che quel giorno era prevista l’esecuzione di una sentenza capitale. 

Prima di portare a termine un’esecuzione il boia seguiva una sorta di rituale: si confessava e si comunicava, indossava poi gli abiti tipici del giustiziere (un mantello rosso) e si recava nel luogo dell’esecuzione. Si narra anche che molto spesso offrisse una presa di tabacco o un sorso di vino ai condannati prima di decapitarli.

Al Museo Criminologico di Roma sono ancora oggi conservati il mantello scarlatto e gli utensili usati durante le sentenze, che testimoniano la fama leggendaria del boia, accresciuta da opere teatrali, tra le quali è possibile ricordare la commedia musicale Rugantino, e opere letterarie, come i sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli e le lettere inviate da George Byron all’editore John Murray.

Il 23 novembre 1825, il boia dello Stato Pontificio, mentre faceva rientro a casa, nel rione Borgo, dopo aver condannato due carbonari accusati di omicidio, si ritrovò nel bel mezzo di un processo popolare dal quale non uscì vivo. 

La tradizione romanesca narra la leggenda secondo la quale Mastro Titta, ormai divenuto fantasma, passeggi all’alba, avvolto nel suo mantello rosso, nei luoghi delle esecuzioni, in Piazza del Popolo e in piazza Ponte Sant’Angelo, offrendo tabacco ai passanti. 

 

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