A Roma, in età repubblicana, l’istruzione di base dei giovani dai 7 ai 12 anni era affidata a insegnanti improvvisati, spesso gli stessi padri, che tenevano le loro lezioni in luoghi di fortuna, come i retrobottega o addirittura all’interno dei porticati. 

Le lezioni consistevano nell’insegnare a far di conto, a leggere e a scrivere anche se spesso i docenti più acculturati insegnavano anche le principali leggi dello stato. Insieme a queste nozioni erano forniti anche i valori del buon romano: la famiglia, la patria, il rispetto dei più anziani e dei più alti in grado. 

Nel II secolo a.C., con l’apertura delle scuole i docenti, divisi tra grammatici, che insegnavano ai più giovani la letteratura, e rhetores ai quali era affidato l’insegnamento della retorica. Tra le discipline più importanti vi era certamente l’oratoria, l’arte del parlare, indispensabile a uomini politici e avvocati.

Esistevano poi degli insegnanti specifici: il Litterator, insegnava a leggere e scrivere, il Librarius che perfezionava il ragazzo nella lettura e nella scrittura, il Calculator insegnava a compitare e a fare le varie operazioni aritmetiche, il Notarius che insegnava a stenografare.

Tutto avvenne in forma privata fino alla riforma promossa da Vespasiano e affidata a Quintiliano, primo insegnante pubblico della storia. 

 

Negli ultimi anni della Repubblica e durante l’Impero la prima educazione veniva impartita dalle madri e le ragioni erano diverse: prima tra tutte che l’uomo romano spesso doveva andare a prestare servizio nell’esercito, la seconda stava nel fatto che, essendo già scolarizzate e alcune volte istruite sui classici, potevano insegnare molte cose ai figli. 

Quando Roma entrò in contatto con la cultura si diffuse anche l’insegnamento del greco e delle opere degli autori più famosi. 

L’arredamento scolastico consisteva di sgabelli su cui sedevano gli alunni, mentre il maestro sedeva al centro su una sedia con spalliera, chiamata cathedra. 

 

Gli strumenti usati a scuola o per scrivere appunti di vita quotidiana erano tavolette di legno con superficie ricoperta di cera, sulla quale si incideva con uno stilo, un bastoncino appuntito per incidere le lettere, ed era possibile riusarle numerose volte e i “libri” erano dei rotoli di pergamena, di difficile consultazione che furono poi sostituiti, in età imperiale, dai cosiddetti “codici”, costituiti da una successione di pagine simile a quella dei moderni libri. 

 


 

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