Giordano Bruno è uno di quei personaggi la cui storia si intreccia con la città di Roma.

A raffigurarlo,  la statua in bronzo, situata in Campo de’ Fiori, che ci ricorda il punto esatto in cui il domenicano, il 17 febbraio del 1600,  fu giustiziato, messo al rogo, poiché considerato eretico per le sue teorie religiose e filosofiche.

L’autore della scultura, ottocentesca, è l’artista romano Ercole Ferrari.

Quando fu arrestato, Giordano Bruno si trovava a Venezia. Il 23 maggio del 1592, il domenicano viene denunciato al Tribunale dell’Inquisizione, proprio dall’uomo che gli aveva offerto ospitalità, Giovanni Francesco Mocenigo che era un suo seguace e voleva impedire a Bruno di rientrare il Germania, dove era vissuto fino a quel momento.

 

 

Il processo che ne derivò fu molto complesso ed estenuante, fatto di numerosi interrogatori.

La difesa che il filosofo attuò non riuscì però a evitargli un secondo processo, nonostante la richiesta di grazia al tribunale veneziano.

Il 30 luglio, nello stesso anno del suo arresto, Giordano Bruno, con queste parole, si rivolse a chi lo giudicava: “Domando humilmente perdono al Signor Dio e alle Signorie Vostre illustrissime de tutti li errori da me commessi; et son qui pronto per essequire quanto dalla loro prudentia sarà deliberato et si giudicarà espediente all’anima mia. (...) et se dalla misericordia d’Iddio et delle Vostre Signorie illustrissime mi sarà concessa la vita, prometto di far riforma notabile della mia vita, ché ricompenserò lo scandalo che ho dato con altretanta edificazione”.

Purtroppo, nonostante questo gesto, per volere del Santo Uffizio, fu inviato a giudizio a Roma.

Arrivato nella capitale, passò un lungo periodo di prigionia e la ripresa del processo vide nuove ed infamanti accuse. Poi la revoca, da parte dello stesso, di una decisione di abiura, provocò la condanna a morte.

Altro famoso processo tenutosi a Roma, fu quello che vide protagonista Galileo Galilei che fu costretto a rinnegare tutte le sue teorie astronomiche, per cui era stato tacciato di eresia.

Galilei aveva, infatti, sovvertito le teorie bibliche, sostenendo l’eliocentrismo, ossia che non fosse la terra, bensì il sole, al centro dell’universo. Teorie, queste, pubblicate nel suo celeberrimo trattato “Dialogo sopra i massimi sistemi”, che ovviamente subì la censura.

 

Come Giordano Bruno, anche Galileo Galilei fu, dunque, giudicato dal Sant’Uffizio, subendo un duro processo. Fu così costretto a rinnegare le sue idee, obbligato all’abiura nel giugno del 1633. Morirà ad Arcetri, in Toscana, sua terra d’origine, l’8 gennaio 1642, restando sempre fermamente convinto della veridicità delle sue teorie scientifiche. Storica è la frase che Galileo avrebbe pronunciato dopo la sua abiura: “Eppur si muove!

La Chiesa lo riabiliterà solo nel XIX secolo, attraverso la figura di papa Pio VII.

Sul viale di Trinità dei Monti, andando verso il Pincio,  si trova la colonna commemorativa che ricorda il luogo in cui lo scienziato fu tenuto prigioniero, la vicina Villa Medici. L’opera fu collocata sul finire dell’Ottocento.

Di seguito l’abiura del Galilei: Io Galileo, figlio di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo Santo Officio, per aver io, dopo d’essermi stato con precetto dall’istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il Sole sia centro del mondo e che non si muova, e che la Terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in gualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e che si muova; pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d’ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d’eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all’Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d’adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo Santo Officio imposte; e contravenendo ad alcuna delle mie dette promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da’ sacri canoni e altre costituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m’aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani. Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633. Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria”.

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